Gianluca Ales e Oliviero Bergamini hanno spiegato cosa fare prima di partire: informarsi e studiare a fondo la zona di conflitto, organizzarsi una volta giunti sul posto (se non "embedded" è necessario trovare una persona che faccia da accompagnatore, una persona fidata che spesso si sceglie in base all'istinto), cercare di muoversi in tutta sicurezza, tornare spesso nello stesso luogo per capire bene cosa sta succedendo, per riuscire a raccontarlo. Questa breve introduzione ha permesso di illustrare il rapporto fra Forze Armate e giornalisti. «Le Forze Armate hanno cambiato il modo di rapportarsi con i giornalisti: tutto si basa sul rispetto - specifica il generale Fogari -. I giornalisti sanno che i militari sono professionisti che svolgono il loro lavoro e operano in base a certi principi e nello stesso tempo i militari sanno che i giornalisti sono professionisti che operano in base ad altri principi. Noi militari sappiamo che il mondo dell'informazione evolve in modo rapido e che i giornalisti hanno determinate esigenze che non necessariamente corrispondono con quelle delle Forze Armate. Per questo motivo organizziamo corsi per addestrare i giornalisti che andranno ad operare in zona di guerra».
I problemi, infatti, sono molti: oltre al cambio della modalità di combattimento, che non permette di identificare un nemico e di collocarlo in un luogo fisico, il giornalista si è trasformato in un bersaglio. Non è più visto come una terza entità, un terzo attore, presente sul posto per raccontarlo. Oggi il giornalista per il nemico significa denaro, perché viene catturato per chiedere un riscatto. Il giornalista che opera in zone di guerra deve svolgere il suo lavoro, affrontando difficoltà di spostamento e la gestione del tempo, la difficoltà di recuperare notizie e la difficoltà nel verificare le fonti, stando attendo alla propria incolumità e cercando di non mettere in difficoltà e di non compromettere l'esito di operazioni militari. Il rapporto fra giornalista e Forze Armate si basa, infatti, sulla conoscenza che gli interessi dei due attori sono diversi. «A mio parere non esiste una forma di controllo, una vera e propria censura. Esiste una visione parziale della guerra - specifica Gianluca Ales - dovuta al fatto che spesso si riesce a raccontare la guerra solo dal punto di vista dei soldati». (chartabianca 16:36)