E' evidente che le cause del mal di schiena sono diverse, ma i fattori "meccanici" come discopatie, stenosi, spondilolistesi e fratture sono di gran lunga l'origine più diffusa del disturbo (dall'85% al 90% secondo le statistiche). Non tutte queste cause possono essere rimosse efficacemente con i trattamenti conservativi come fisioterapia, busto o la terapia farmacologica. Quando questi approcci, infatti, risultano fallimentari è possibile fare ricorso al trattamento chirurgico che, grazie alla continua evoluzione dei dispositivi utilizzati, è diventato sempre meno invasivo. "Ogni anno nella nostra regione vengono eseguiti circa 1.800 interventi chirurgici per patologie della colonna vertebrale di cui, un numero in continua crescita, con tecnica mininvasiva - dichiara Giovanni Pinna, primo aiuto neurochirurgo all'ospedale di Nuoro. Oggi, le discopatie degenerative della colonna vertebrale come lesioni o cedimenti strutturali possono essere trattate con successo grazie all'adozione di un'innovativa procedura chirurgica percutanea mininvasiva grazie alla quale è possibile recuperare in modo eccellente l'assetto anatomico-funzionale della colonna vertebrale, a fronte di una riduzione sostanziale del trauma chirurgico, limitando la perdita ematica, e delle complicanze post operatorie - dolore, cicatrici estese, rischio di infezioni e lunghi tempi di ripresa per il paziente - che comporterebbe l'impiego delle procedure chirurgiche convenzionali - continua Pinna - Le nuove tecniche consentono la stabilizzazione dei segmenti vertebrali lesionati attraverso l'impianto, per via percutanea, di una barra di connessione collegata ai segmenti vertebrali tramite piccole viti, permettendo al paziente di mantenere una completa motilità della colonna. L'intervento viene eseguito attraverso un'incisione minima, al massimo di 1,5 cm, sotto controllo scopico del chirurgo e richiede una degenza al massimo di 4 giorni".
"La terapia delle fratture vertebrali da cedimento su base osteoporotica, non prevede più come un tempo la prescrizione di busto ortopedico per tre mesi - spiega Pinna - Noi pratichiamo un'iniezione di cemento per via percutanea (dopo avere inserito e gonfiato un palloncino che risollevi la vertebra fratturata posizionandola il più vicino possibile all'altezza originale) in modo da rinforzare e riespandere la vertebra lesionata. Tale procedura è eseguita in anestesia locale con una degenza massima di un giorno".
Per il trattamento delle ernie del disco o delle stenosi spinali lombari che causano la compressione di una o più radici nervose, poi, esiste una procedura di decompressione chirurgica mininvasiva per alleviare la pressione sui nervi spinali attraverso l'inserimento per via percutanea di ‘spaziatori interspinosi'. L'intervento avviene in anestesia locale, attraverso una piccola incisione, con una minore perdita ematica rispetto alla chirurgia "tradizionale" (laminectomia e artrectomia, faccetectomia, discectomia), minori complicanze e un più rapido recupero funzionale. La colonna vertebrale viene preservata il più possibile: non c'è alcuna rimozione di tessuti o strutture ossee, lasciando aperte eventuali altre opzioni di trattamento.
"Per quanto riguarda le ernie del tratto cervicale - continua Pinna - l'intervento chirurgico viene adottato nei casi refrattari o con deficit neurologici progressivi. Recentemente sono stati messi a punto dispositivi all'avanguardia che riducono la durata delle degenze ospedaliere, accelerano i tempi di guarigione e consentono al paziente un recupero della mobilità perduta. Si tratta di un innovativo disco vertebrale artificiale, in titanio e ceramica, inserito al posto del disco danneggiato, precedentemente rimosso, in grado di preservare il movimento del collo, imitando tutti i movimenti fisiologici, come flessioni, estensioni, piegamenti, rotazioni e allineamenti. La sua funzione è anche quella di proteggere, come una sorta di ‘air bag', i dischi contigui da anomali sovraccarichi e mantenere il naturale bilanciamento del rachide. La protesi simula la funzione di un disco cervicale naturale, eliminando l'esigenza del trapianto d'osso umano, richiesto con il procedimento della fusione spinale tradizionale. In questo modo viene ridotto lo sforzo sulle vertebre circostanti, che altrimenti provocherebbe un aumento della degenerazione dei dischi vertebrali adiacenti. Il paziente - conclude Pinna - riacquista così, a pochi giorni dall'intervento, la propria mobilità, senza indossare alcun collare come, invece, necessario per il trattamento tradizionale di fusione". (chartabianca, 14:10